Carcinogeni in microdosi: un'ipotesi omeopatica di trattamento antitumorale

Dopo le malattie cardio e cerebrovascolari il cancro è la seconda causa di morte fra le persone adulte e, secondo dati recentemente diffusi dall'O.M.S., i casi di tumore diagnosticati nel mondo sono circa 10 milioni ogni anno.

Alla base dei meccanismi neoplastici c'è fondamentalmente un'alterazione nella struttura del DNA, vale a dire una mutazione dei geni che controllano il ciclo cellulare, che implica l'attivazione di oncogeni e/o la riduzione delle funzioni di geni oncosoppressivi.

La ricerca in questo campo ha fatto, com'è noto, passi da gigante soprattutto negli ultimi anni individuando i geni o i meccanismi genetici responsabili di diverse neoplasie.

Il discorso si fa invece più complesso quando si passa a parlare delle terapie a disposizione dei malati di tumore, in particolare chemio e radioterapia. Entrambi questi metodi si basano sul concetto di eliminazione delle cellule neoplastiche con una violenta apoptosi, ma non correggono il genoma danneggiato, per cui molto spesso la patologia compare nuovamente. Inoltre la chemio e la radioterapia sono responsabili di numerosi e gravi effetti collaterali, non esclusi tumori secondari o metastasi.

Le terapie geniche allo studio sono ancora poco utilizzate, molto costose e al momento non rappresentano un'alternativa terapeutica reale e praticabile per la popolazione colpita da questa grave malattia.

Anche a causa dei fattori summenzionati nei paesi industrializzati molte persone colpite da tumore cercano un supporto nelle medicine complementari, in primo luogo per mitigare i pesanti effetti collaterali che scaturiscono dai trattamenti antitumorali convenzionali. Il ricorso alle terapie complementari da parte di pazienti oncologici è pertanto un fenomeno in crescita da qualche anno e secondo uno studio recentemente pubblicato (1) un malato di tumore su 3 fa ricorso a una terapia complementare, soprattutto omeopatia, fitoterapia, medicina nutrizionale e antroposofia (Iscador e terapie a base di vischio).


Carcinogeni in forma omeopatica
Essendo l'alterazione del ciclo cellulare una distinzione fondamentale fra le cellule normali e quelle neoplastiche, è logico pensare che nelle strategie antitumorali un ruolo significativo possa essere giocato dalle sostanze in grado di agire sul controllo del ciclo cellulare e delle cellule cancerose. Intervenendo in pratica sulle mutazioni che sono alla base del meccanismo neoplastico e inducendo la normale apoptosi nelle cellule cancerose.

Anche con la medicina omeopatica. Una delle ipotesi avanzate in questo campo parla, per esempio, di modulazione biochimica del meccanismo di controllo del ciclo cellulare con la somministrazione di microdosi di sostanze cancerogene. Un'applicazione del principio omeopatico dei Simili secondo cui la sostanza che produce una malattia specifica in cellule o organismi sani può curare la stessa malattia quando si manifesta spontaneamente.

Un'esposizione di questa linea di lavoro si trova in una relazione pubblicata di recente (2), nella quale l'omeopata messicano H.Montfort descrive nei dettagli i meccanismi genetici che attivano i processi tumorali e riflette sulla doppia proprietà delle sostanze carcinogene di produrre tanto proliferazione cellulare (neoplasia) che distruzione cellulare (apoptosi). E allega un'ampia letteratura che riguarda, fra l'altro, sostanze come alcuni composti carcinogeni/genotossici (2-acetilamminofluorene, aflatossina B1, N-etil-N-nitrosurea) oppure il triossido di arsenico (potente carcinogeno e sostanza leucemogena) o gli enzimi endonucleasi, alchiltransferasi e metiltransferasi.

Nella relazione si illustrano anche 3 casi clinici di pazienti oncologici che, dopo la prognosi sfavorevole emessa da qualificati oncologi convenzionali, si sono rivolti all'omeopatia e hanno assunto carcinogeni trattati omeopaticamente in diluizioni fra la 9D e la 10D (decimali).

Il primo caso si riferisce a un uomo di 48 anni. Dopo aver scoperto per caso un grosso nodulo sopraclavicolare, la biopsia rivelò la presenza di un carcinoma polmonare non differenziato. Il tumore primario consisteva in una massa tumorale non operabile di circa 2,5 cm nel lobo sinistro superiore, mentre ulteriori indagini di laboratorio rilevarono lesioni anche a livello dello sterno. Il trattamento applicato in questo caso prevedeva l'associazione di rimedi classici, somministrati per alleviare gli effetti collaterali della chemio e radioterapia, e di benzopirene (uno dei più potenti carcinogeni polmonari) alla nona potenza decimale (9D).

Dopo 3 mesi di trattamento, una seconda biopsia del linfonodo mostrò tessuto fibroso e al quarto mese una lobectomia rilevò nuovamente solo tessuto fibroso, escludendo la presenza di cellule neoplastiche. La lesione allo sterno non era regredita ma, secondo specialisti oncologi, non era connessa al tumore. Dopo 5 mesi, tuttavia, gli esami effettuati a seguito di un forte dolore al torace mostrarono metastasi nella parete toracica, alle braccia e craniche. Quindici mesi dopo questa diagnosi, il paziente era ancora vivo anche se in condizioni molto precarie.

Il secondo caso clinico si riferisce a un bambino di 5 anni. A causa di uno strabismo bilaterale, vennero effettuate indagini di laboratorio che rivelarono la presenza di un tumore del tronco cerebrale, un astrocitoma di II grado. La chemio e la radioterapia non riuscirono a bloccare la crescita della massa tumorale e a quel punto, quando lo stato neurologico del bambino andava degenerando, i genitori decisero di consultare un medico omeopatico. In questo caso la terapia prevedeva la somministrazione quotidiana di guanina nitrato e xantina nitrato (due basi azotate, purinica e pirimidinica) alla sesta potenza decimale (6D), che determinarono un arresto della crescita tumorale. Due anni dopo il trattamento, la risonanza magnetica non evidenziava più tracce del tumore e le condizioni neurologiche del bambino si erano normalizzate. Dopo 45 mesi era assolutamente asintomatico. Sei anni dopo però si manifestò nuovamente lo strabismo bilaterale e una nuova R.M.N. rilevò la presenza di un tumore del tronco cerebrale delle dimensioni di 6x4 cm, non operabile. L'associazione di chemioterapia e omeopatia (Arsenicum album 6D e Guanidina nitrato 6D) per 6 settimane ha determinato, contro ogni aspettativa, una riduzione dell'astrocitoma a 2x2 cm.

Il terzo caso si riferisce a una donna di 43 anni, isteroctomizzata per un carcinoma uterino, che presentava dopo 3 anni innumerevoli metastasi a livello polmonare (leiomiosarcoma). Dopo 2 mesi di chemioterapia e una certa riduzione delle metastasi, la donna fu costretta a interrompere la terapia a causa di una trombocitopenia e, su consiglio di Montfort, iniziò ad assumere quotidianamente metilcolantrene 10D. Le radiografie eseguite a cadenza mensile mostrarono progressivi miglioramenti. Dopo un anno, le condizioni di salute della donna erano buone.

Nessuno dei 3 casi esaminati ha manifestato effetti collaterali o avversi alla somministrazione del trattamento omeopatico. Pur essendo preliminari, questi risultati portano l'autore a concludere che "esiste la promessa di un'oncologia molecolare, un nuovo approccio omeopatico che può avere prospettive terapeutiche tutte da indagare".


BOX - L'esperienza della clinica svizzera di Orselina
Da tempo si utilizzano farmaci in diluizione nel trattamento dei tumori, ma prevalentemente in ambito antroposofico e omotossicologico.

Un'interessante esperienza di utilizzo dell'omeopatia classica nel trattamento di soggetti affetti da patologie di natura neoplastica viene invece condotta da alcuni anni, all'incirca dal 1997, da sei medici omeopatici svizzeri nella Clinica Santa Croce di Orselina.

I primi risultati clinici, relativi a 75 pazienti, sono stati esposti in una relazione (3) presentata da Dario Spinedi, responsabile della clinica nonché allievo dell'insigne omeopata Künzli von Fimmelsberg, al congresso annuale della L.M.H.I. (Liga Medicorum Homeopathica Internationalis, la più antica e prestigiosa associazione internazionale di medici omeopatici) .

Come spiega l'autore, i risultati migliori sono stati ottenuti nei pazienti con un tumore allo stadio avanzato, associando con equilibrio il trattamento omeopatico a quello allopatico. Sulla base dell'esperienza clinica, continua Spinedi, sembra che "il metodo migliore consista, qualora sia possibile, nell'utilizzare in prima battuta il trattamento omeopatico, associando ad esso la terapia allopatica in un secondo tempo". Nei pazienti con cancro allo stadio non avanzato si sono rilevati gli stessi risultati sia quando si è somministrata soltanto la terapia omeopatica sia con l'associazione di omeopatia e allopatia. I risultati peggiori si sono osservati invece nei casi trattati a lungo prima con la terapia allopatica e in seguito con l'omeopatia, poiché si trattava di pazienti con un sistema immunitario eccessivamente compromesso dal trattamento allopatico.

I rimedi più spesso utilizzati nella clinica svizzera sono i grandi policresti come Phosphorus, Lycopodium, Sepia, Sulfur, Lachesis, Natrum muriaticum, Calcarea carbonica, Arsenicum album, Thuja e Silicea alle potenze LM o CH.


Riferimento bibliografici
1. Ernst E, Cassileth BR. The prevalence of complementary/alternative medicine in cancer. Cancer 1998; 83: 777-782.
2. Montfort H. A new homeopathic approach to neoplastic diseases: from cell destruction to carcinogen-induced apoptosis. British Homeopathic Journal 2000; 89: 78-83.
3. Spinedi D. Proceedings Book, 55° Congress of the Liga Homeopathica Medicorum Internationalis, Budapest 13-17 May 2000.


Autore: Mariella Di Stefano, Rivista "Medicina Naturale" - Milano.
Fonte: Dr. Elio Rossi, Ambulatorio di Omeopatia Ospedale "Campo di Marte" ASL 2 - Lucca.

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